le mie avventure sopra e sotto il mare a bordo della Maruzza,

una piccolissima barca a vela in rotta verso l' Africa!

Questo racconto è stato pubblicato sulla rivista nautica svedese Odyssé

e ha vinto nel 2007 il premio "Odyessey Price" dello Sweedish Cruising club!

la costa delle tempeste

la navigazione da tabarka a kelibia, in tunisia, tra pioggia, onde, vento e mal di mare!

Aprile 2003

"Giò! Ma moriremo?" "Non lo so Pattina! Non lo so...". Stavamo navigando davanti alla costa del nord Africa in un notte letteralmente buia e tempestosa. Le onde nere come un pensiero maligno sembravano immensi spettri ammantati di schiuma bianca che si lanciavano sulla Maruzza mentre il faro di capo Bon, in Tunisia sciabolava la notte e la pioggia torrenziale. Patrizia in realtà non era preoccupata, e neanche io. Cercava solamente di giocare un po' e rendere la situazione meno deprimente. Eravamo ormai da più di 30 ore in una perturbazione pazzesca di vento, mare e pioggia. Le onde che arrivavano da lontano si alzavano moltissimo in prossimità della costa a causa della bassa piattaforma continentale africana e passavano sotto la Maruzza sollevandola di almeno tre metri prima di disintegrarsi con un fragore di tuono sulle scogliere sottovento. Dentro, in cabina, era quasi tutto bagnato. Cerate, maglioni, berretti, pantaloni... Tutto bagnato. C'era una gran puzza di chiuso e Patrizia era buttata a prua col mal di mare. Quindi dovevo fare tutto io, cambi di vele, guardie, correzioni di rotta... Tutto!! E cominciavo ad essere stanco... "Ma come cavolo siamo capitati in questo casino..?". Le parole di Patrizia mi arrivarono dalla penombra della prua. Pareva stremata ma la sua voce era quella di sempre, allegra e capace di far passare il nervosismo a Belzebù...

Eravamo partiti da Tabarka, al confine algerino, 30 ore prima. Avevo lasciato la barca nel marina per l' inverno che avevo passato in Italia dividendomi tra Firenze e Napoli, tra i miei genitori e un po' di lavoro alla Stazione Zoologica "Anthon Dhorn". Eravamo tornati insieme in Tunisia alla meta' di Marzo per fare carena e partire per Malta. Tunisi ci aveva accolto con un 

freddo allucinante e pioggia torrenziale. La strada tra Tunisi e Tabarka, che abbiamo percorso a velocità supersonica a bordo di una di quelle bare a 4 ruote che vogliono far passare per pulmini, era una specie di palude! I fiumi erano tutti straripati e le case allagate. Gli unici contenti erano gli uccelli acquatici che sguazzavano felici nei pantani... Sulle montagne c' era la neve, e io mi domandavo se avevamo preso il traghetto per il continente giusto... Appena arrivati facemmo una corsa al porto a salutare la Maruzza. La barca era la al suo ormeggio, la carena incrostata di alghe, ma nel complesso ci sembro' tutto in ordine. La pioggia veniva giù' a catinelle. "Giò! Muoviamoci da qui...Alla barca ci penseremo dopo!! Qui finisce che ci prende un accidente...". Patrizia aveva ragione, faceva freddo e nevischiava. Raccogliemmo tutto e ce ne andammo all' hotel Corallo, il più' economico del porto... Infatti aveva i vetri delle finestre rotti, acqua fredda e un bagno che non veniva pulito dai tempi di Annibale! "Dai Pat! è solo per stanotte!! Domani siamo di nuovo sulla barca...". Patrizia è una persona che ha dormito su un tetto di una casa a Damasco e nel deserto in una tenda di pastori. Sapevo che non ci sarebbero stati problemi per lei, ma cercavo di essere confortante...

"Cavolo Giò!! C' è acqua qui sotto il pagliolo..." "Lo so Pat... è il solito maledetto problema... Entra dal gavone dell' ancora e finisce qui dentro, non è una cosa seria..." Era un problema invece. L' acqua entrava in sentina, la riempiva e quindi entrava nei gavoni distruggendo pasta, cibo e tutto quello che trovava... Mi misi alla pompa e in 15 secondi avevo fatto il lavoro. "Bisogna risolverla 'sta cosa però" "Si, bisogna..." La Maruzza navigava di bolina, saliva sulle onde ripide e precipitava nel cavo tagliando il mare con un botto secco che sembrava il colpo di una scure. Su, su, su, pausa, vuoto,BANG! Su, su, su, pausa, vuoto, BANG!!! Capo Bon era ormai sulla scia dietro di noi e Kelibia solo a 15 di miglia difronte alla prua. La notte era buia e il mare troppo grosso per pensare davvero di entrare in un porto. La costa sembrava dannatamente vicina e c' erano delle luci sull' acqua che non

riuscivo a identificare. Tutte le volte che aprivo il tambuccio per prendere dei rilevamenti pioveva dentro una cascata di pioggia. No, non era possibile avvicinarsi di più alla costa... "Pat, esco, viro, andiamo a largo per 3 ore e poi ci mettiamo alla cappa per aspettare l' alba. Qui è troppo tutto un casino...". Da prua mi arrivò una specie di sospiro rassegnato. Ma la fuori è così... decide sempre il mare e io devo solo stare al gioco e resistere fino alla fine. Mi arrampicai sul tetto della cabina e poi giù' in pozzetto, raggiunsi Giacomo, il timone a vento che mi sono costruito, scollegai i cavetti e virai. Rimisi a segno il fiocco e collegai di nuovo Giacomo alla barra. Adesso eravamo su un bordo che ci avrebbe portato verso il largo. Fuori era bello. Le onde arrivavano veloci, ci sollevavano e poi scorrevano via passando sotto la chiglia. Sembravano dei tori in un' arena che caricavano a testa basta senza mai riuscire a colpirci. Qui e la qualche piccolo frangente rombava minaccioso accendendo l' acqua di fosforescenze misteriose. La barca procedeva un po' sbandata, adagiata sulla sua pancia come un grosso pesce. Portava se stessa lontano dai guai con la calma di un ruminante e la forza di un asinello cocciuto... "Non aver paura marinaio, entra nella mia pancia. Questo non è il tuo mondo. Lascia che sia io ad attraversare il mare per te, lascia che ti porti lontano dalle rocce fino alle acque sicure". Questo mi diceva la Maruzza mentre saliva sulle onde, lenta e caparbia, agile e sicura affondando la prua nel nero della notte. Io ero assolutamente affascinato. "Bastarda questa pioggia maledetta...". Non potevo davvero rimanere fuori. Entrai nella pancia della barca e chiusi il tambuccio.

Cominciammo i lavori sulla Maruzza in una bellissima giornata di primavera. Facemmo le poche centinaia di metri tra il marina di Tabarka e il cantiere e ci mettemmo in attesa della gru. La gru era una cosa gigantesca utilizzata per i pescherecci oceanici.... Faceva paura a vederla! "Ma siete sicuri che la barca non mi cade di lato?? Le fasce sono così distanti tra loro..." Ero abbastanza preoccupato! "Ma no amico mio! Facciamo questo lavoro di continuo! La vedi quella barca là? L' abbiamo tirata su la settimana scorsa!!" "Ma quella sarà' 14 metri..." Dannazione! In che cavolo di pasticcio mi sono cacciato... Del resto c' era poco da fare. Quello era l' unico cantiere nelle vicinanze, e quindi la Maruzza doveva essere alata per forza lì... La gru intanto era arrivata e gli addetti posizionarono le fasce sotto la pancia della barca.

Quando tutto fu in ordine le fasce cominciarono a sollevarsi piano fino a che non entrarono in tensione schioccando e gemendo. La Maruzza, completamente sconcertata, cominciò a sollevarsi sull' acqua. "Ma che diavolo mi fate, razza di screanzati! Mettetemi giù che mi vedete il disotto e mi vergogno!!!" Ignorammo le sue proteste e la portammo piano fino a un angolo dell' immenso piazzale dove fu, non senza un bel po' di sforzi, posizionata sul suo invaso fatto di tronchi di eucalipto. I giorni seguenti pulimmo la carena e stuccammo le parti di gel coat che avevano bisogno di una sistemata, mettemmo due mani di antivegetativa, controllammo tutto l' albero e le sartie, lucidammo lo scafo e la coperta, oliammo con amore le parti di legno e nel giro di una settimana la Maruzza sembrava nuova di zecca!!!

Facemmo il percorso inverso con la gru e finalmente la barca era di nuovo in mare, pronta a portarci dove avremmo voluto. Tornammo al marina dove lasciammo la barca per qualche giorno per fare provviste e salutare gli amici. Sulla banchina del marina ci aspettava Giuseppe, il comandante di un peschereccio oceanico battente bandiera senegalese in attesa dei documenti per poter pescare in acque tunisine. Giuseppe è basso, tarchiato, ha i capelli lunghi che gli scendono dietro la nuca ed è solido come un frangiflutti. Un bel paio di baffoni gli mascherano i denti scuriti dal fumo e i suoi occhi guizzano in ogni direzione come se stesse sempre guardandosi le spalle. Ci prese le cime e con un volteggio delle mani fece due gasse alle bitte. "Bè! Li avete finiti i lavori?" "Che ti sembra Giuseppe, bella vero??" rispose Patrizia di rimando. "Mmmm, Bravi... Bravi...".

Ce ne andammo a festeggiare al ristorantino all' angolo. è il più' buono di Tabarka, il più' economico, e abbiamo fatto amicizia col cameriere, Ibrahim. Ibrahim ci accolse con un sorriso di ragazzo giovane e innocente. Ci sedemmo e prendemmo la solita insalata tunisina, harissa e costolette di agnello. Ibrahim sparì dietro il banco e torno' dopo un po' con quello che avevamo ordinato più' un paio uova e pesci fritti. "Questo lo offriamo noi! E poi volevo invitarvi a casa per cena. Mia madre farà un cus cus di quelli veri, non la schifezza che trovate nei ristoranti!! Mi farebbe piacere che veniste...". Accettammo tutti contenti, e dopo aver mangiato come lupi salutammo Ibrahim e andammo al mercato a fare la spesa. Sulla strada incontrammo Giuseppe. Camminava a passo svelto dondolando le braccia avanti e indietro come se fossero pinne, guardandosi in giro furtivamente come se temesse di essere seguito. Sembrava come sempre che stesse andando a qualche urgentissimo e misterioso appuntamento segreto. Era capace di apparire in due posti diversissimi quasi contemporaneamente, lasciandoci sempre sconcertati. "Uè Giusè! Dovete ne vai cosi' di fretta??!!". "Mmmmm.... E che minchia ti interessa??". Giuseppe voleva fare il burbero ma aveva gli occhi che gli brillavano di sorrisi furbeschi. Ci passò accanto come una saetta e sparì dietro un angolo del mercato. Il mercato coperto di Tabarka è una specie di labirinto di odori, volti e gesti in cui fa piacere perdersi.

Comprammo verdura, spezie, cus cus, pasta acqua e tutto quello che ci serviva. Sistemammo ben benino tutto quanto nei gavoni e io feci gli ultimi controlli alle luci di via, fonda e luce bussola. Mi accorsi che la luce di fonda non funzionava, e cosi' andai in testa d' albero a vedere che diavolo fosse successo. Patrizia tirava la drizza mentre io facevo del mio meglio per arrampicarmi, fino a che non mi sistemai per bene a lavorare. Giuseppe apparve d' improvviso piazzandosi sulla banchina a gambe divaricate e le braccia incrociate sul petto, considerando la mia situazione. Rimase li a guardare un po' e poi si rivolse a patrizia: " Patrizia!! Mooollalo!! Mi capisci a me quando parlo?? Moooollalo!!!". Mi sa che a Giuseppe piaceva Patrizia...

La sera andammo da Ibrahim, dove fummo accolti come sceicchi. Il cus cus era fantastico, davvero il migliore mai mangiato. Cantammo, ridemmo e raccontammo storie fino a tardi. A notte fatta, stanchi e pieni come uova, tornammo in barca. Il giorno dopo saremmo dovuti partire...

La mattina era fredda, il cielo velato e il vento sembrava non decidersi da che parte soffiare.
Ma davvero dovevamo andare. 
Cominciava ad essere un po' tardi nella stagione e avevamo da fare ancora tantissime miglia per arrivare nelle Cicladi, in Grecia. Facemmo colazione, andammo alla polizia, e senza troppi indugi mollammo gli ormeggi. 
E allora capimmo che ci avevano voluto bene a Tabarka...
Arrivarono tutti a salutarci, agitando le braccia e urlandoci benedizioni.
C' era il fotografo pazzo, il guardiano del marina, qualche pescatore, un paio di persone mai viste prima, Ibrahim e il folle di Tabarka che faceva la spesa e ci regalava quello che comprava.
Non c' era Giuseppe. 
Era sparito chissà dove a fare chissà che... 

Il vento era poco e andavamo di bolina piano piano. Appena fuori dal porto arrivarono due bei delfini a salutarci.


 
Era buon segno e tutto sarebbe andato per il verso giusto, pensavamo. La costa deserta del nord Africa scorreva lentamente alla nostra dritta. Il Sole salì alto nel cielo, indugiò un attimo e comincio' a calare. Al tramonto il vento era sparito completamente lasciandoci a dondolare su un mare d' olio... ed eravamo solo a 6 miglia da Tabarka! 
"Pat, che si fa? Si torna indietro?"
"Giammai!! Abbiamo detto a tutti che partivamo e abbiamo già rimandato duecento volte... Mi ricorda quella comica di Stanlio e Olio: loro hanno comprato una macchina e decidono di andare in vacanza. Tutti i vicini sono invidiosi marci e li guardano partire. Arrivedooorci!! Arrivedooorci!! La macchina si avvia, percorre due metri e dopo un paio di scoppi si ferma. I vicini si avvicinano ridacchiando. Loro scendono, aprono il cofano e riparano il guasto.  Arrivedooorci! La macchina percorre 3 metri e si ferma, e così per tutto il film. Stamattina anche noi abbiamo detto arrivedooorci. Adesso indietro non si torna...".
Così è Patrizia...

 Alle 21.00 tutto era immobile, il genoa legato in coperta e la randa che penzolava come una tenda.
Patrizia andò in cuccetta mentre io iniziai una guardia di tre ore in un mare immobile. 
Alle 21.30 quelle poche stelle opache che c' erano scomparvero del tutto e si alzò un venticello di terra. Issai il genoa e la barca parti' silenziosa come un fantasma.
La Maruzza a volte colpiva delle meduse che si accendevano in scoppi di pirotecniche fosforescente verdastre e nella scia il mare sembrava ribollire di vita spettrale. 
Alle 22.00 cominciò a piovigginare piano piano.
All' orizzonte, verso il mare aperto, dei temporali illuminavano il cielo con lampi lontani. 

Il vento viene da terra, i temporali sono a largo, quindi non si avvicineranno... Questo pensavo. Ma non ero proprio sereno... 
Alle 24.00 la pioggerellina si era trasformata in un acquazzone pazzesco, il vento era rinforzato e io cambiai il genoa issando al suo posto il fiocco 1. Per prudenza misi anche una mano alla randa. Controllai la rotta e scesi in cabina. Patrizia non stava bene, il mal di mare l'aveva messa fuori uso, e io capii che mi sarei dovuto arrangiare da me. Non era un problema, l' anno precedente ero andato dall' Elba alla Tunisia da solo e me l' ero cavata benone, ma comunque sapere di poter contare su un altro è sempre un bel conforto. Fuori il vento soffiava forte, la barca filava veloce e tutto andava bene. 
C'era solo un problema... 
Dovevo aprire il tambuccio ogni 10 minuti per controllare che non ci fossero navi davanti la prua.

Io aprivo e una marea di pioggia entrava dentro... Io uscivo a cambiare una vela e la barca si allagava. Mi toglievo la cerata e la cabina si inondava...
Dopo un paio d' ore c' erano già le ranocchie che gracidavano felici sulle cuccette.
Dopo 4 ore c' erano anche le carpe e le tinche...

Nel mezzo della notte incappammo in almeno 4 navi, e tutte erano in rotta di collisione! Uscivo con la cerata e prendevo dei rilevamenti. Se non cambiavano voleva dire che il botto era sicuro. Allora cercavo di rallentare la Maruzza in qualche modo, sventando le vele o magari cambiando rotta un pochino. Il vento capriccioso mi costringeva a uscire per regolare Giacomo e cambiare le vele. Aprivo il tambuccio e giù acqua! Una notte infernale... Al mattino avevamo Bizerta al traverso. Patrizia era una specie di massa di muscoli contratti, infreddoliti e mezzi vomitanti.
"Pat, che si fa...? Ti va di fermarti un po'?" 
"No... Andiamo avanti... Prima o poi finirà'..."
"Pat, sei grande..." 
"Giò, vaffanc..." 
Passammo il golfo di Tunisi durante il giorno e le isole di Zembra e Zembretta al tramonto inoltrato.

Fino a che nel mezzo della notte, sotto una pioggia implacabile e un vento che intanto era aumentato insieme al mare, passammo capo Bon.
La Maruzza aveva percorso una decina di miglia verso il largo. Capo Bon era a sinistra sotto vento e ragionevolmente distante. Il porto di Kelibia non era lontano, ma mi sembrava davvero impensabile avvicinarsi a terra con quel tempo e con quel buio. Uscii fuori nel vento che ululava e ammainai il fiocco, legandolo strettamente alla battagliola. Tutto era caotico la fuori, le onde, il vento, la pioggia, il movimento violento della barca... 
Ma era bello, maestoso e possente. 
Non volevo essere da nessun' altra parte.
Cazzai la randa a ferro, trasto sopravvento e barra sottovento. La Maruzza, orzò di qualche grado, ma senza fiocco e con la randa piattissima non riuscì a virare, stallò e si mise a scarrocciare.

Eravamo alla cappa. Legai il timone e sistemai tutte le cime e cimette che ingombravano il pozzetto.
Salutai la tempesta e scesi sottocoperta. 
La barca non saltava, non si agitava nè sbatteva più'. Stava adagiata su un fianco, tranquilla e beata come un' anatra su un lago... A volte dei piccoli frangenti ruggivano da qualche parte, ma la situazione era parecchio migliorata. Stare alla cappa è una gran cosa...

 Raggiunsi la cuccetta di prua, chiesi a Patrizia di dare un' occhiata fuori ogni 10 minuti e caddi addormentato di un sonno agitatissimo popolato di onde, vento e navi in rotta di collisione... La mattina venne a svegliarmi filtrando attraverso gli oblo' di plexiglass fin dentro la pancia della Maruzza. 
"Mmmmmm...." "Buon giorno!!"
"Che ore sono...?"
"Sono le otto e tutto va bene!!" "Minchia..." Ero tutto indolenzito, avevo i muscoli rattrappiti, i vestiti umidi e la sensazione di essere in bilico tra un incubo e una secchiata d' acqua... Rimasi nella cuccetta ancora un paio di minuti e poi mi alzai. C' era sicuramente meno vento e meno mare e mi sembrava che la pioggia tamburellasse gentilmente sulla cabina invece di scrosciare come aveva fatto per 40 ore.


Mi misi la cerata e uscii fuori. L' aria fresca della mattina mi riportò immediatamente al mondo. Eravamo scarrocciati verso capo Bon, e in lontananza potevo vedere le isole di Zembra e Zembretta. Ma non ci eravamo spostati poi di tanto. Comunque era stato tempo speso bene, avevo dormito e mi sentivo di nuovo relativamente in forma.
Il mare era decisamente calato, e così il vento.

A tratti il cielo si apriva tra le nuvole grigie in spicchi slabbrati e opachi di azzurro. "Pat! Il cielo!! C' è ancora! Vieni qui fuori a respirare un po' di mattina!!"
Dopo un attimo una testa arruffatissima di capelli lunghi e neri si affacciò dal tambuccio come un gatto uscito da una lavatrice.
Salutammo la luce del giorno e cominciammo a lavorare.
Issai il fiocco, slegai la barra del timone e mollai un po' la randa. La Maruzza si svegliò dal suo sonno, poggiò un po' e riprese a navigare portata da Giacomo verso il porto. Kelibia distava una decina di miglia verso sud. Le onde erano ancora abbastanza grandi ma non facevano più' impressione e il vento stava calando costantemente.
Mollai la seconda mano e poi la prima. Adesso avevamo tutta la randa e il fiocco 2, che non cambiai per il timore di qualche colpo di coda della perturbazione.

Ci muovevamo a 3 nodi circondati da stormi immensi di berte che, silenziose come pensieri, accarezzavano la cresta delle onde in un ballo col mare che era armonia, grazia e bellezza.
Smise di piovere giusto a 6 miglia da Kelibia e riuscimmo a godere di qualche ora di calma in pozzetto mentre la costa africana scivolava lentamente alla nostra dritta. Passammo il capo che protegge il porto e la fortezza araba di Kelibia ci accolse indifferente dall' alto dei suoi secoli di storia.
Al ridosso del capo il vento divenne incostante e sfuggevole divertendosi come un monello a giocare a rimpiattino con le vele. Ma oramai eravamo in acque tranquille e il porto era davvero vicino.
Tra boline, traversi, poppe e laschi arrivammo davanti al fanale d' entrata del porto e ammainammo le vele. 

Entrammo con un certo senso di liberazione, preparammo cime e parabordi e ormeggiammo la Maruzza di fianco a una vecchia barca a vela in disarmo. Sistemammo scotte e drizze, coprimmo le vele e saltammo a terra.
"Siamo arrivati?"
mormorò Patrizia. 
"Siamo arrivati..." 
"Davvero?"
"Davvero..."
Eravamo a Kelibia.

pat e gio'

Crea il tuo sito web con Webador